Per una teologia rinnovata. Saggio teologico

Riportiamo la prefazione, insieme ad una nota dell’autore e ad una premessa, del saggio di don Massimo Lapponi “Per una teologia rinnovata”.

Il testo completo è disponibile in PDF sia sul sito di don Massimo Lapponi, sia in fondo a questo post.

A completamento e aggiornamento del testo, sarà pubblicato domani un altro articolo di don Massimo.

Prefazione

di Paolo Lapponi

Il libro Per una teologia rinnovata affronta sia temi difficili e delicati, sia problematiche incerte e complesse, ma – in più aggiungerei –, affronta, per molti aspetti, questioni decisive e cruciali. Peraltro, il medesimo titolo del libro rivela un notevole coraggio, da parte dell’autore. Ciò detto, è certamente inutile nascondere il fatto che Massimo ed io siamo fratelli, perché comunque lo sanno tutti. Tutti i nostri tanti, tantissimi amici. Come pure tutti sanno la profonda e radicale “differenza” nelle nostre rispettive esperienze di vita. E cioè, Massimo è un monaco benedettino, mentre io sono un laico, seppur con evidenti tendenze spiritualiste. Ogni donna o uomo di scienza, ammirando il cielo stellato, sa di dialogare con il cosmo e con la sua segnaletica, cioè con la “creazione”, o con il “divino”. Ed anche per poter rispondere alle tre decisive domande: “Da dove veniamo, perché siamo qui, e dove stiamo andando”. Queste differenze non sono solamente radicali, piuttosto sono – e sono state, fra noi – spesso inconciliabili ed apertamente in contrasto.

Ė del resto ovvio quante circostanze dividano un sacerdote, da un laico come me: pluridivorziato, con due figli, quattro nipoti e con un’esperienza di vita quantomeno avventurosa, per non dire di più. Infatti, prima di accettare la proposta di Massimo di scrivere un prefazione al suo libro, ho dovuto avvertirlo che non potevo evitare di criticare alcune sue posizioni, decisamente non realistiche, nonché errate, dal punto di osservazione delle scienze umane. Ed io sono verosimilmente convinto di quanto sia importante, per Massimo, la “realtà”, nelle difficili vicende della vita. Come pure sono convinto che le mie osservazioni sono state ascoltate e recepite da Massimo, proprio affinché possano far parte delle attuali condizioni storiche e per poter “comprendere il proprio tempo”, quel tempo, in accelerazione, dell’attuale contemporaneità.

In queste condizioni, e per maggior facilità di includere i diversi aspetti del libro di Massimo, affronto separatamente alcuni argomenti, apparentemente distanti fra loro, per riunificarli infine in una sola conclusione, che per sua natura, vorrebbe ricomprenderli tutti.

Primo: molti anno fa Massimo mi chiese notizie di Florence Nightingale, (1820-1910), un’infermiera britannica considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.

Secondo: in realtà la Croce Rossa – e con essa l’infermieristica moderna – nasce ufficialmente a Solferino nel 1859, dove lo svizzero “evangelico” Henry Dunant giunto il giorno della battaglia, vista la terribile carneficina (60.000 soldati di dieci nazionalità diverse, francesi, piemontesi, slavi, ungheresi, croati, austriaci, algerini, marocchini, abbandonati, feriti, morenti e senza cure, attorno alla piccola collina di Solferino), con l’aiuto determinante della popolazione, specialmente femminile, prestò soccorsi a tutti, avendo come riferimento il motto “Tutti Fratelli”. Infatti, ogni vera e appassionata infermiera sa benissimo che – sia che si trovi su un’ambulanza, ovvero in un ospedale da campo, o al fronte, o direttamente in battaglia –, dovrà prendersi cura sia dei feriti dell’esercito amico, sia dei feriti dell’esercito nemico. Dunque, l’Idea “Nobile”, tradotta poi nei “Sette Principi del Diritto Internazionale Umanitario”, ha un’origine assai più antica di quanto non si pensi, e non è, per lo più, di provenienza cattolica, bensì anglosassone o svizzera “evangelica”.

Sembrerebbe, leggendo la prima parte del libro, che “una teologia rinnovata” nascerebbe con modalità “esogene” al Cattolicesimo Romano. Siamo così giunti all’incirca a pagina trentanove del libro, e fin qui, non posso evitare di riconoscere all’autore una erudizione che mi

ha sinceramente sorpreso. Anche se di tutte le figure fin qui nominate – Fornari, Gioberti, Newman, Teilhard de Chardin (su quest’ultimo le mie personali opinioni divergono assai da quelle dell’autore), Hegel, Marx, Solov’ëv, Spinoza, H.U. von Balthasar, Bulgakov, e tanti altri – non è possibile accedere agli scritti originali. Ed è noto quanto questa verifica diretta sia di grande importanza.

Siamo giunti, ripeto, a pagina trentanove del libro. Ed è da qui in poi che si rivelano le inconciliabili posizioni, tra un sacerdote ed un “laico”. Certamente un “laico” che è anche un biologo e che ha studiato a fondo la “Natura”, anzi, di più, la natura sistemica della vita. E nessun biologo, in tutta coscienza, si azzarderebbe ad affermare che “la stessa natura pone una finalità determinata alle donne – sponsalità, maternità, educazione della prole”. Quale “Natura” costringe la donna alla “sponsalità”? Quest’ultima è l’affermazione tipica di un sacerdote cattolico; affermazione che con il concetto evolutivo della “Natura”, nulla c’entra. E quanti uomini si dedicano con altrettanta abilità alla “educazione della prole”? Insomma, ogni colpa e ogni perversione dell’attuale contemporaneità, sarebbe – secondo l’autore – responsabilità delle donne e dei movimenti “femministi”. Dimenticando così gli enormi meriti nel cambiamento dei costumi e nell’emancipazione della donna in quella società “patriarcale” nella quale siamo nati. Per questo continuo a ripetere che nostro padre è stato un ottimo medico, ma un pessimo marito.

In tal modo di ragionare, arriviamo all’elemento estremo e “cruciale”, che sembra il culmine dell’abominio, e cioè “L’aborto”. Parliamoci con franchezza. Nessuna donna vorrebbe abortire, così, di sua spontanea volontà. L’aborto è necessario alle donne come unica difesa dalle “violenze” maschili, le quali ultime avvengono, più spesso di quanto non si creda, proprio tra le mura domestiche. Noi tutti vorremmo un mondo migliore di questo, un mondo, cioè, ove la parola “aborto” sia eliminata, e torni nell’oblio, e lì rimanga per sempre. La stessa accusa è fatta dall’autore alla “omosessualità”, maschile e femminile, e si rivela anch’essa come un clamoroso errore biologico: l’omosessualità esiste da sempre in natura, iniziando dai primati superiori, fino a comprendere il cosiddetto Homo Sapiens. Tutti gli aspetti fin qui illustrati, rientrano nella sfera dell’“eros”, che è coinvolta in ognuna di quelle “perversioni” più volte citate dall’autore. Ed ogni buon psichiatra, come ogni buon endocrinologo, sa quanto sia importante l’“eros” per un sano equilibrio ormonale del corpo e della mente.

Con la convinzione di un atteggiamento, da parte di mio fratello, favorevole ai suggerimenti e a nuove conoscenze, prendo a misura la nostra età, perché il tempo irreversibilmente corre in un’unica direzione. Ed utilizzo, per questo, una frase non mia, bensì di un autore assai inconsueto, in un simile contesto.

Così scrive Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere: “L’inizio dell’elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un ‘conosci te stesso’ come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario”.

Penso sia giunto il momento, almeno per me, di “fare inizialmente un tale inventario”. Ci vuole tempo, per riavvolgere la pellicola della propria vita, e rivederla fin dall’inizio. Io credo di aver già cominciato, e soprattutto mettendolo per iscritto, come suggerisce C.G. Jung. Solo così emergeranno le memorie del più lontano passato, i ricordi dispersi nei meandri delle nostre disordinate menti.

In conclusione, esaminate sia le critiche che gli elogi, analizzati nel bene e nel male i difficili contorni di questo saggio, – e quanti ne ho letti! – ritengo che il libro Per una teologia rinnovata di don Massimo Lapponi, sia la più bella cosa che egli abbia scritto, finora.

Nota dell’autore

Ringrazio di cuore mio fratello per aver accettato di scrivere la prefazione al mio saggio e per averlo letto con tanto interesse, sebbene esso esuli decisamente dai suoi abituali testi di riferimento.

Perché ho chiesto proprio a mio fratello, e non a qualche teologo, la prefazione a questo lavoro, pur sapendo che egli non mi avrebbe risparmiato prevedibili critiche? La ragione di questa scelta risiede nel fatto che, in realtà, con mio fratello c’è stata, in anni recenti, una proficua collaborazione. A partire dal 2007, per otto anni consecutivi, abbiamo insieme realizzato, presso l’Abbazia Benedettina di Farfa, seminari di alcuni giorni con giovani sudenti liceali, preparati e motivati, non, ovviamente, a fini confessionali, ma al fine di provare, insieme a loro, a “comprendere il proprio tempo” – questo è stato il titolo generale che abbiamo scelto per i nostri seminari. Questa pluriennale esperienza, che è stata accolta con entusiasmo dai giovani partecipanti, ha lasciato in tutti noi un segno indelebile, e proprio dalle sollecitazioni che ne sono derivate sono divampate molte delle scintille confluite, poi, nel presente saggio. Mi è sembrato, dunque, doveroso rivolgermi proprio a mio fratello, con il quale, durante i seminari, avevamo tante volte discusso molti degli argomenti che qui ho voluto affrontare, per chiedergli una prefazione al mio saggio.

Grazie alla sua coraggiosa adesione alla mia richiesta, certamente gli argomenti trattati usciranno dall’ambito ristretto dei teologi di professione e potranno animare un dibattito pubblico a più largo raggio.

Proprio per contribuire a questo auspicabile dibattito, mi permetto di fare a mio fratello le seguenti osservazioni, lasciando poi a chi leggerà la valutazione degli argomenti apportati:

  1. Non mi sembra corretta l’affermzione che, secondo il mio saggio, l’auspicato rinnovamento della teologia «nascerebbe con modalità “esogene” al Cattolicesimo Romano». Al contrario, il mio testo si richiama ampiamente ad autori non cattolici, quali Feuerbach, Comte, Hegel, Marx, George Eliot, Harriet Beecher Stowe e molti altri, la cui opera viene presentata come potente stimolo per una teologia rinnovata. Stranamente questo  fatto sembra essere sfuggito a mio fratello.
  • Altrettanto gratuita appare l’affermazione che dei vari autori richiamati «non è possibile accedere agli scritti originali». Ovviamente nel mio testo non ho riportato integralemente le loro opere, ma, almeno per la maggior parte di essi, non mi sembra che sia così difficile consultare i testi originali.
  • Per quanto sia importante la biologia, essa non esaurisce certamente le vie di accesso alla conoscenza della realtà naturale e umana. Mio fratello stesso passa con disinvoltura dal piano strettamente biologico ad affermazioni che rientrano più propriamente nella metafisica e nell’etica, pur senza averne, a mio giudizio, la preparazione. Mi sembra, infatti, che egli confonda la “finalità” con la “costrizione”. In metafisica e in morale il “dover essere” si distingue certamente dall’essere, ma non “costringe” qualcosa o qualcuno. In questa prospettiva, affermare la finalità alla maternità iscritta nella natura della donna, mentre non esclude affatto che essa possa non realizzarsi, nello stesso tempo non appare così contrario ad una visione realistica della natura come pretende mio fratello. Ovviamente il dibattito è complesso ed è

aperto alle più diverse considerazioni. Ma parlare con tanta sicurezza, in riferimento ai vari problemi discussi, di «posizioni, decisamente non realistiche, nonché errate, dal punto di osservazione delle scienze umane» sembra un pregiudiziale mettere le mani avanti prima di incominciare. Dare per scontata la soluzione fin dall’inizio su basi così unilaterali mi sembra molto discutibile.

  • Quanto all’affermazione che «ogni colpa e ogni perversione dell’attuale contemporaneità, sarebbe – secondo l’autore – responsabilità delle donne e dei movimenti “femministi”. Dimenticando così gli enormi meriti nel cambiamento dei costumi e nell’emancipazione della donna in quella società “patriarcale” nella quale siamo nati», a mio giudizio dimostra che mio fratello non ha letto bene il mio testo. Prego il lettore di verificare se, nel mio saggio, non vengono accuratamente distinte, nel movimento femminista, una corrente portatrice di una giusta esigenza di superamento di costumi mortificanti per la donna e di doverosa rivalutazione del suo ruolo sociale e un’altra corrente più radicale, possibilmente portatrice di risutati discutibili. Non mi sembra una lettura accurata quella che pretende di fare di tutt’erba un fascio!
  • Sul tema cruciale dell’aborto sembra che mio fratello non avverta quanto le nostre posizioni siamo assai più vicine di quanto possa sembrare. Egli, infatti, contrariamente alla mentalità più diffusa, afferma che «noi tutti vorremmo un mondo migliore di questo, un mondo, cioè, ove la parola “aborto” sia eliminata, e torni nell’oblio, e lì rimanga per sempre», perché «nessuna donna vorrebbe abortire, così, di sua spontanea volontà». Sono perfettamente d’accordo! Mio fratello oppone a questo dato fondamentale la presenza di “casi limite”, quali la violenza domestica. Ma sembra non rendersi conto che non è qui il problema. Sui casi limite si può discutere e, anche se pure da prospettive diverse, si può forse trovare un accordo, almeno pratico. Il vero problema, che viene ignorato, è che esiste l’aborto di stato, l’aborto selettivo, l’aborto eugenetico, l’aborto di comodo, l’aborto estorto con pressioni e minacce, l’aborto causato dalla mancata applicazione di quanto disposto dalla legge: tutta una vasta area di problematiche che richiederebbero un’assai più ampia considerazione. Ma, come ho detto, mi piace qui sottolineare soprattutto la convergenza delle nostre rispettive posizioni.
  • Per quando riguarda l’omosessualità, a mio giudizio essa non può essere valutata in una prospettiva strettamente biologica e deterministica. Anche qui i dati biologici passano necessariamente sul piano metafisico e morale, nel quale, dal mio punto di vista, vale sempre la distinzione tra l’essere e il dover essere, come anche la presenza imprescindibile della libertà umana, che esclude la “costrizione” – costrizione che, invece, se non erro, mio fratello introduce parlando del tempo che «irreversibilmente corre in un’unica direzione». Ovviamente il problema è complesso, ma appunto per questo non mi sembra opportuno parlare, su fondamenti così unilaterali, di «un clamoroso errore biologico». Come ho detto, restringere il problema al dato biologico mi sembra un’indebito riduzionismo.
  • Sull’eros, invito il lettore a verificare quale posto fondamentale ho dato ad esso nel mio saggio. Ovviamente la mia trattazione non restringe questo aspetto così importante della vita umana ai suoi dati biologici e ormonali, ma anche qui dal mio punto di vista non è lecito operare un riduzionismo che escluda dimensioni propriamente metafisiche, morali e religiose. Mi permetto di segnalare due testi in cui, in anni ormai lontani, pur non essendo né uno psichiatra né un neurologo, ho provato ad affrontare il problema dell’eros anche da questi punti di vista,

cercando di coniugarli con prospettive più propriamente spirituali. Si tratta dei primi due romanzi della serie Le vie segrete del cuore: il primo – Il manoscritto del Dottor Bonich – pubblicato in prima edizione nel 1995 e in seconda edizione, presso le edizioni “Tabula Fati” di Cheti, nel 2017, e il secondo – Di generazione in generazione – pubblicato in prima edizione nel 2000 e poi in seconda edizione, presso le medesime edizioni “Tabula Fati”, nel 2018. È in corso di pubblicazione l’intera serie, che comprende, oltre i due volumi già segnalati, 28 brevi romanzi, destinati soprattutto alla gioventù. I primi 14 sono stato pubblicati nel 2019, presso le edizioni “Tabula Fati”, con il titolo generale Le vie segrete del cuore vol. 1.

Non vorrei ora cadere nel difetto, che mi sembra di ravvisare in alcune affermazioni di mio fratello, di chiudere a priori la discussione con soluzioni unilaterali, date per definitive, su punti così cruciali e controversi. Il mio intento è, piuttosto, quello di favorire un ampio dibattito, anche al di fuori delle strette cerchie teologiche, valorizzando, pur con le opportune precisazioni, la prefazione di mio fratello, che ringrazio ancora per aver offerto l’occasione ad un pubblico ampiamente differenziato di affrontare argomenti di così appassionante interesse.

Premessa

In questo lavoro, frutto di decenni di studi e di esperienze, ho voluto tentare di esporre, in forma il più possibile sintetica, quello che a me sembra il necessario rinnovamento del pensiero teologico richiesto dal nostro tempo. Non si tratta, a mio giudizio, di un rinnovamento relativo a questioni particolari, al metodo o al linguaggio, ma di qualcosa di più profondo, che investa nei suoi aspetti portanti la comprensione della dottrina cristiana e si irradi, poi, in tutta la catechesi e la prassi della Chiesa.

Mi sono deciso a impegnarmi in questo compito nella convinzione che esso sia assolutamente necessario ed urgente.

Mi rendo conto di quanto questo progetto sia ambizioso e di quanto sia facile, nel cercare di realizzarlo, cadere in errori e illusioni. Per questo sottopongo ogni mia affermazione al giudizio dell’autorità della Chiesa.

Dato il carattere sintetico di questo saggio, non verrà presentata, nel testo o in nota, la documentazione giustificativa di tutte le affermazioni in esso contenute, molte delle quali sono indubbiamente innovative rispetto alle prospettive storiografiche comunemente accettate. Per detta documentazione si può fare riferimento principalmente al volume di Augusto Del Noce Da Cartesio a Rosmini (Milano, Giuffrè, 1992) e al mio volume Giacinto Sigismondo Gerdil e la filosofia cristiana dell’età moderna (Roma, Spazio Tre, 1990).

Credits: Photo by Sylvain Brison on Unsplash

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