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DSC: la Partecipazione

Con questo post proseguiamo nella serie di articoli che trattano dei principi di base della dottrina sociale della Chiesa (DSC). Con questi scritti non si intende fare un’analisi dettagliata delle varie encicliche sociali né si vuole spiegare l’intera dottrina. Lo scopo di questa serie di post è fornire i principi fondamentali per poter poi comprendere sia le ragioni del distributismo, sia le modalità seguite nei vari casi di studio, primo tra tutti quello della Mondragón Corporation, ma non solo.

I contenuti di questa serie di post, di cui questo è il quinto, sono tratti dal “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” nell’edizione 2005, seconda ristampa del 2016, della Libreria Editrice Vaticana. Il testo può essere acquistato in libreria o consultato liberamente sul Web al link del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

In particolare, seguiremo i contenuti del capitolo quarto, intitolato “I Principi della Dottrina Sociale della Chiesa”.

Per il primo post di questa serie si veda a questo link.

In questo articolo parleremo di una conseguenza del principio di Sussidiarietà, ossia la “Partecipazione”.

I numeri trattati in questo post vanno dal 189 al 191 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

Poiché il principio di Sussidiarietà stabilisce il diritto/dovere di ciascuno di agire secondo le proprie potenzialità, conseguenza di tale diritto/dovere è che ciascuno è tenuto a partecipare attivamente alla vita sociale del contesto a cui appartiene. Al numero 189, dove si parla del significato e del valore della Partecipazione, la definizione data è molto chiara: “Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione, che si esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica della comunità civile cui appartiene. La partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune.”.

Importante sottolineare tre punti:

  • Dovere di partecipazione
  • Modalità di partecipazione “responsabile”
  • In funzione del bene comune

Il dovere di partecipazione implica che essa non può essere in alcun modo limitata. Sempre al 189 viene infatti affermato che “Essa [la partecipazione, ndr] non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale”. Tale affermazione viene anche motivata, subito dopo, “data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne, l’informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l’edificazione di una comunità internazionale solidale.”.

Quindi il dovere di partecipazione alla vita culturale, economica, sociale e politica non può subire limitazioni che lo restringano ad un ambito molto limitato della vita sociale ma deve sempre restare aperto all’intero spettro di attività possibili.

L’aspetto di responsabilità ha un doppio significato. Il primo è che bisogna agire in maniera consapevole, ossia consci che la propria partecipazione è in grado di generare un cambiamento e che esso deve essere per “il meglio” (si veda al riguardo l’aspetto seguente del bene comune). Il secondo è che si deve essere consapevoli della propria responsabilità, ossia del dovere (e qui si richiama il primo punto) di agire per migliorare la società.

La cosa che molti non sanno o non comprendono immediatamente della Dottrina Sociale della Chiesa è che il suo agire è continuamente focalizzato sul bene comune, ossia sul miglioramento delle condizioni di vita di tutti, passando per le condizioni di vita del singolo. In pratica, la DSC propone quella che si chiama una strategia Win-Win: vince chi agisce e vince anche la società nel suo insieme.

Il terzo punto, ossia in funzione del bene comune, è che “il meglio” viene misurato in base alla crescita del bene comune. Questo significa che l’azione partecipativa (ossia la partecipazione) deve essere pensata sin dall’inizio in tale ottica. Un grande (enorme) problema dei nostri tempi è che la partecipazione avviene pensando in un’ottica di fazione e non di bene comune, oppure, purtroppo, in un’ottica meramente personalistica (ossia egoistica). Questo modus operandi in spregio del bene comune è tra i più grandi limiti di tante azioni partecipative, siano esse “mainstream” che “alternative”. Una grande sfida dei prossimi anni (decenni) sarà riportare le persone a pensare al bene comune prima che al proprio o del proprio clan.

Sempre al 189, il Compendio sottolinea che “diventa imprescindibile l’esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e l’alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti; è necessaria, inoltre, una forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune”.

 I due punti dell’ultima citazione sono oggi quanto mai disattesi. La partecipazione dei più svantaggiati è declinata come l’ossessione isterica di far prevalere le esigenze di minoranze, spesso “lunatiche”, piuttosto che di proteggere chi è realmente debole. La tensione morale è solo di facciata ed è basata su un politicamente corretto disumano, fondato sulle sabbie mobili di un bispensiero orwelliano che porta a cortocircuiti devastanti.

Al 190 (che assieme al 191 tratta del rapporto tra partecipazione e democrazia) viene affermato: “La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una delle maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e responsabilmente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici, oltre che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo democratico, infatti, è definito a partire dall’attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell’esercizio delle funzioni che essa svolge.”.

Sul 190 appena citato ci sarebbero molte riflessioni da fare ma lo spazio non ce lo consente. Vorremmo però sottolineare un passaggio: “i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell’esercizio delle funzioni che essa svolge”. L’informazione, l’ascolto e il coinvolgimento sono tre aspetti del diritto/dovere di partecipazione che bisogna recuperare attivamente, essendo oggi preclusi, in molti casi, sia da un Potere sempre più arrogante e incompetente, nonché vorace, sia da un fatalismo che porta molti a considerarsi non più in grado di partecipare e quindi, invece di cercare nuove forme di partecipazione che sostituiscano quelle ormai precluse, ignorano bellamente il problema fingendo che non esista. La politica dello struzzo di mettere la testa sotto la sabbia non ha mai funzionato né mai funzionerà.

Il 191 tratta di due aspetti che fanno riferimento proprio al paragrafo precedente.

Il primo aspetto è la partecipazione insufficiente per varie ragioni dovute al contesto storico e culturale. Il 191, al riguardo, recita “La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili relazioni tra il cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa dovrebbe veramente attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità, richiede un’opera informativa ed educativa. Meritano una preoccupata considerazione, in questo senso, tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica: si pensi, ad esempio, ai tentativi dei cittadini di «contrattare» le condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici, e alla prassi di limitarsi all’espressione della scelta elettorale, giungendo anche, in molti casi, ad astenersene”.

L’aspetto fondamentale di questa prima parte del 191 non è l’esemplificazione negativa (contrattazione pro domo mea o astensione elettorale) ma l’invito al “superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità …”. Ostacoli culturali, giuridici e sociali. Che devono essere superati. La chiave di lettura principale di questo primo spezzone del 191 è la necessità di trovare strategie per riportare la partecipazione nel contesto storico e culturale in cui ci si trova. E questo significa una forma di Partecipazione differente che è mirata ad abbattere gli ostacoli che impediscono una reale Partecipazione.

La seconda parte del 191 riguarda invece i totalitarismi e le dittature. Il numero 191 evidenzia “un’ulteriore fonte di preoccupazione è data dai Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo Stato stesso; dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente non si può esercitare; da altri ancora in cui l’elefantiasi dell’apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica.”.

Anche qui vale quanto detto per la prima parte: la forma di Partecipazione da attuare in primis è quella per il ripristino delle condizioni di Partecipazione. Molto complesso è il caso del totalitarismo dove, a differenza di una dittatura, gran parte della popolazione è favorevole all’oppressione. I totalitarismi di oggi tendono ad essere, spesso, “morbidi”, cioè a fare uso di tecniche progressive e subdole per imporre ai cittadini un credo totalitario, spesso usando la paura, l’emergenza continua o finestre di Overton, in pratica attuando tutte le forme possibili di manipolazione delle masse.

Da tutte queste tecniche, la DSC ci protegge, se la applichiamo, perché nessun totalitarismo o dittatura può essere applicato rispettando i principi della DSC stessa.

Inoltre, utilizzando la Dottrina Sociale come chiave di lettura della Storia possiamo evidenziare subito i contesti in cui esiste un’ingiustizia, totalitari o meno che siano.

Sebbene abbiamo citato esplicitamente quasi al 100% la sezione del Compendio sulla Partecipazione, consigliamo a tutti di leggerla e, in particolare, di seguire le note con i rimandi ad altri documenti perché contengono degli approfondimenti molto interessanti.

Nel prossimo post termineremo questo rapido excursus dei principi della DSC trattando del principio di Solidarietà. Quindi, dopo aver ragionato sui valori fondamentali della vita sociale, chiuderemo questa serie con un post di riepilogo e le conclusioni finali.

Un sito di riferimento per questi temi è certamente l’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan che vi invitiamo a visitare, essendo ricchissimo di spunti e altamente qualificato.

Credits: Photo by Gary Butterfield on Unsplash

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