Sabato Santo: il giorno della desolazione

È arrivato il sabato. Non un sabato qualunque, ma il sabato dopo il venerdì in cui Cristo è morto. Il sabato dopo il giorno della sconfitta definitiva, almeno a viste umane.

E le cose erano andate male già prima. Il Maestro, il Messia, colui che doveva salvare Israele aveva iniziato a fare discorsi strani, sempre più cupi, che parlavano della sua morte. E la cosa più preoccupante era che parlava anche di qualcosa di impossibile, del fatto che sarebbe resuscitato dai morti.

Poi aveva detto altre cose strane, frasi che facevano sembrare ormai prossima la tanto attesa rivolta contro i Romani ma, quando gli vennero portate delle spade, aveva risposto stizzito, come se i suoi discepoli non avessero capito nulla.

Che strani momenti.

Poi le cose erano precipitate: quella terribile agonia, con quelle preghiere incomprensibili su calici e volontà di Dio. Poi le guardie e la folla, con armi e bastoni. Il bacio del traditore. Tutto col favore delle tenebre.

E la fuga degli apostoli, e il rinnegamento, imprecando, di colui che aveva giurato fedeltà fino alla morte. Tutti scappati. Tutti fuggiti. Incapaci di vegliare un’ora sola. Tutti quelli che, fino a qualche giorno prima, discutevano su chi dovesse sedere alla destra e chi alla sinistra, tutti erano fuggiti.

E lo sconcerto di chi, sguainata la spada, ferito il servo del Sommo Sacerdote, si vedeva ripreso e vedeva, orrore, sanare la ferita del colpito.

Quei vigliacchi degli apostoli erano fuggiti. Tutti tranne Pietro e il discepolo che conosceva la portinaia, ma anche loro non danno un buon esempio di coraggio e di sacrificio.

Il processo farsa. Prima da Anna, l’eminenza grigia che era dietro al genero, Caifa, per cercare un capo d’accusa sostenibile davanti al Sinedrio. Poi il vero processo, con gran confusione dei testimoni e la “bestemmia” che farà stracciare le vesti.

Ma non gli era consentito mettere a morte qualcuno, bisognava andare dall’Occupante, da quell’oscuro governatore Pilato che non sopportava quelle teste calde dei Giudei. E bisognava farlo senza contaminarsi, perché la Pasqua incombeva e, se si fosse entrati in contatto con cose impure, si sarebbe persa la possibilità di celebrarla.

E le pressioni su Pilato, che in molti modi cerca di salvare quel povero mentecatto (probabilmente questo è quello che avrà pensato) ma che alla fine si arrende e lo condanna alla crocifissione. Peccato, caro Ponzio Pilato, da quello che ci è dato di sapere, la tua carriera finirà, anni dopo, per un caso analogo, dove qualche spione (Erode?) ti farà richiamare a Roma per non aver difeso abbastanza l’onore imperiale.

Ma torniamo ai nostri apostoli, scappati, nonostante la baldanza delle spade della sera prima, che vedono il loro Cristo ridotto “ecce homo”. Che lo seguono di nascosto nel cammino verso la croce. Ma sotto di essa solo uno di loro, sconvolto, assieme ad una madre trafitta dal dolore.

E poi la morte. Quella morte avvenuta troppo presto da stupire Pilato stesso.

Tutti scappati. Gli apostoli. Quelli che dovevano essere la Chiesa. Quelli che dovevano guidare le pecorelle. Pastori che hanno paura del buio. Pusillanimi sbandati.

Così sbandati che nemmeno si azzardano a richiedere il corpo. Lo richiederanno due benestanti, Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio, e Nicodemo, anche lui del Sinedrio. Del secondo, sappiamo che aveva paura di farsi vedere con Gesù. E, infatti, ne parla solo il più tardo degli evangelisti, Giovanni, che scrive quando molti pericoli di ritorsione non ci sono più.

E questi due ricchi rischiano l’impurità (e l’ira del governatore) e chiedono il corpo di Gesù. Giuseppe sacrifica la sua tomba nuova (perché dopo averci seppellito un morto in croce la tomba diventava impura e inadatta per altre sepolture) e, in fretta e furia per il sabato incombente, vi fa seppellire Gesù.

E inizia il sabato. Del sabato non sappiamo nulla. La Chiesa degli Apostoli è svanita. Nessuno di loro ha il coraggio di mettere fuori il naso. Ormai hanno capito che tutto è perduto. Che non c’è speranza.

Quante volte ci troviamo a vivere in questo sabato?

Quante volte ci ritroviamo abbandonati da tutti, a volte anche dagli Apostoli di oggi?

Quante volte ci sentiamo disperati e cerchiamo di nasconderci nel Cenacolo, quasi in un caldo ventre materno dove rientrare per sfuggire ad un mondo ostile?

Quante volte, sconvolti dai Venerdì Santi della nostra vita, in cui le nostre idee e i nostri progetti si infrangono contro la realtà, abbandoniamo Cristo?

Quante volte lo rinneghiamo perché pensiamo che tutto sia perduto, che vana è la nostra fede in Lui?

Eppure, qualcuno compie quei gesti che devono essere compiuti. La sepoltura il venerdì. L’imbalsamazione del cadavere la domenica. Perché qualcuno non ha dimenticato che certe cose vanno fatte. Anche se sembrano inutili.

A che pro sacrificare una tomba nuova per uno destinato alla fossa comune e che si era rivelato, a quanto sembrava, solo un millantatore o, nel migliore dei casi, un mitomane? Eppure, Giuseppe e Nicodemo lo fanno, rischiando la loro reputazione. Anzi, probabilmente danneggiandola, visto il silenzio su Nicodemo dei Sinottici, che alzano un muro omertoso a sua protezione.

E queste donne (la cosa mi ha sempre stupito) che partono di buona mattina per andare a preparare il corpo del morto chiedendosi per strada come avrebbero fatto a spostare la pietra che chiudeva la tomba. Non si sono portate dietro nessuno degli apostoli o qualche maschio robusto. Sono partite e chiacchieravano per strada “come faremo?”.

Rischiare la reputazione e il successo di una vita, avviarsi per un’impresa che sembra impossibile in partenza non potendo spostare il macigno. Eppure, la domenica dimostrerà che queste persone, che non hanno avuto paura, che hanno agito per fare cose impossibili, avevano ragione.

È facile essere cristiani il giorno di Pasqua. Il difficile è esserlo la sera del venerdì e il giorno del sabato.

E voi, Apostoli, dove siete oggi? Siete fuggiti di nuovo?

E noi, discepoli, dove siamo? Abbiamo il coraggio di imbarcarci in un’impresa impossibile perché non abbiamo la forza di spostare un macigno?

Siamo cristiani anche oggi, in questi tempi cupi e di persecuzione, oppure ci rintaniamo nel Cenacolo, terrorizzati?

Vogliamo essere come Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, come le pie donne, o arrenderci?

Chiediamocelo in questo Sabato Santo.

Chiediamocelo.

Perché a breve La Domenica arriverà …

Luca Lezzerini

Credits: Foto di Siora Photography su Unsplash

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