Roadmap passo 0: Pietre Focaie

Iniziamo con questo post la presentazione sommaria, dei livelli del percorso di maturità delle Comunità Locali (in particolar modo di quelle confessionali) che abbiamo chiamato “roadmap”. Questi livelli, essendo elementi di un percorso, sono detti “passi”.

Il passo zero, ossia quello da cui si parte, lo abbiamo chiamato “Pietra Focaia”.

Come tutti sappiamo, la pietra focaia è un tipo di pietra che, percossa con un metallo, genera scintille. Queste scintille sono in genere sufficienti per accendere un combustibile di innesco, la cosiddetta “esca”, che poi viene utilizzato per accendere un fuoco vero e proprio.

Abbiamo scelto questo nome perché con Pietra Focaia indichiamo un gruppo di persone, in genere nella stessa area geografica, che ha deciso di costituire una Comunità Locale. Quindi, come pietre focaie, queste persone vogliono “accendere” qualcosa, una delle tante “luces” che compongono la Rete di Comunità di Luces Veritatis.

Perché è necessario questo passo zero?

Perché le persone che vanno a costituire la Comunità molto spesso non si conoscono e, quindi devono entrare in confidenza, capire come dividersi i ruoli, valutare bene il progetto di Luces Veritatis per comprendere se è realmente quello che vogliono realizzare o meno.

Nella fase di Pietra Focaia, i membri di una comunità, singolarmente, studiano il Manifesto e il Codice Etico e poi decidono, liberamente, se accettarli. Chi vuole può anche sottoscrivere pubblicamente il Manifesto, ma non è obbligatorio farlo.

Il Codice Etico, invece, deve essere accettato, integralmente, da tutti i membri della Comunità, ma non viene sottoscritto pubblicamente.

Se una persona ha accettato sia il Manifesto sia il Codice Etico, allora può procedere ad interagire con gli altri componenti della Pietra Focaia. In queste prime interazioni, si condividono assieme il Manifesto e il Codice Etico, e si riflette su di essi, scambiandosi riflessioni sulle modalità di attuazione.

In questa prima fase è opportuno che le persone si incontrino da qualche parte e si frequentino, iniziando a conoscersi, allo scopo di cominciare a costituire il primo nucleo della Comunità.

È fondamentale che si chiarisca che lo scopo della Comunità è quello descritto nel Manifesto, in particolare i suoi punti cardine che andiamo a ricordare di seguito.

Riportare Cristo al centro della società

La Comunità si prefigge questo obiettivo. Quindi il suo fine ultimo è di evangelizzazione. Ma una evangelizzazione che non sia solo “teorica”, anzi, piuttosto, che sia orientata molto sulla pratica, reale e quotidiana, di quello che si crede.

Più precisamente, non si tratta di insinuarsi subdolamente nella società, rendendosi credibili, come, purtroppo è accaduto molte volte negli ultimi decenni. Il volersi rendere credibili al mondo deve passare, sempre, per l’essere, prima di tutto, credenti. Con tutti i nostri limiti e i nostri difetti.

Cercare di essere credenti, a viso aperto, ma senza ostentazione, in quel pudore tipico della Verità che non teme di manifestarsi ma nemmeno ossessiona il prossimo, è anche l’unico vero modo per essere credibili ma senza farsi fagocitare dal mondo.

L’evangelizzazione porta alla salvezza delle anime ma, si ricordi sempre, non perché noi le abbiamo salvate ma solo perché Cristo, una volta per tutte, le ha salvate e quindi, grazie all’incontro con Lui, le persone ottengono la salvezza già a caro prezzo pagata duemila anni fa.

Quindi tutte le nostre azioni devono mirare a questo. A riportare Cristo al centro della società.

Come spiegheremo meglio, in un altro post, nel passo 1 della Roadmap, questo riportare Cristo al centro passa, fondamentalmente, per la preghiera.

Farsi monaci individualmente

Un secondo cardine del Manifesto è l’unione con Cristo. In questa unione noi, in pratica, perseguiamo il nostro personale cammino alla santità.

In questo senso si può dire che attuiamo l’essere prima credenti che credibili.

Il nostro cammino di santità deve però passare per “ciò che c’è”, ossia non deve cercare di creare situazioni eroiche e fuori dal proprio stato ma, al contrario, passare necessariamente per il proprio quotidiano, per la propria realtà, custodendo e difendendo il “metro di trincea che ci è stato affidato”. Su questo tema abbiamo già scritto e rimandiamo al relativo post.

In questo cammino di santità, il monachesimo individuale è il principale elemento che ci aiuta a realizzarlo: conformandosi ogni giorno, sempre di più, a Cristo, il singolo individuo entra nella Sua ottica e persegue il Suo progetto, facendosi obbediente al Padre, grazie al sostegno continuo dello Spirito Santo.

In questo cammino ci saranno cadute. E probabilmente non saranno poche. Ma saranno cadute da cui ci si potrà rialzare sempre, come fece Pietro dopo il suo rinnegamento. Sarà quindi un percorso costellato di conversioni a U per ritornare sulla Via giusta dopo ogni errore.

Fasi monaci a livello comunitario

La via personale di santificazione avviene, quasi sempre, in un contesto comunitario, in cui ci si rafforza e ci si sostiene reciprocamente nella fede.

Questo livello comunitario può avvenire in comunità locali, stanziali o religiose ma, in ogni caso, passa attraverso il dialogo con l’altro per incontrare il vero Altro.

Anche su questo abbiamo già scritto, quindi non ci dilunghiamo troppo.

Una cosa, però, è opportuno sottolinearla: anche l’essere monaci a livello comunitario significa diventare, stavolta come comunità, un unicum con Dio. E anche questo si realizza, principalmente, per mezzo della preghiera.

In questo creare comunità è fondamentale rimuovere ciò che divide ed evidenziare ciò che unisce. Sappiamo bene chi è colui che divide, quindi non cadiamo nella trappola.

Negli ultimi anni siamo stati portati su schemi che implicano divisioni. Un esempio per tutti è la divisione pro-vax / no-vax, così come lo è quella in tradizionalisti / non-tradizionalisti. E potremmo proseguire per ore con classificazioni A/B. Classificazioni che creano divisioni. Divisioni che, spesso, portano a violare i principi della carità cristiana che, invece, dovrebbero farci ragionare diversamente.

In questo contesto sempre più divisivo, in cui il passato viene sistematicamente cancellato, in cui predominano nuovi dogmi che si spacciano per scienza o fede pura, il risultato è quello di una continua frammentazione e di un incremento di costante del livello di odio tra le fazioni, generando una miriade di contrasti e divisioni. Contrasti e divisioni che generano rabbia, rabbia che genera reazioni distruttive e focalizzazioni contro qualcosa o qualcuno piuttosto che sul costruire e sul rimodellare, in meglio, il mondo che ci circonda.

Le comunità sono particolarmente vulnerabili e possono facilmente passare in quello stato genericamente indicato come “branco”. Nel branco predomina una intelligenza collettiva estremamente reattiva, aggressiva, spesso distruttiva e, quasi sempre, divoratrice di energie positive.

Nel branco, la reazione è sempre di contrasto, cieco e, spesso, spietato. Nel branco non si pensa più ad un obiettivo positivo, costruttivo, comune ma si pensa solo a colpire e distruggere l’avversario.

Premesso che, purtroppo, di cose da distruggere per ricostruirle meglio ve ne sono tante, forse troppe, la logica del “contro” è estremamente rischiosa e ci pone nello stato d’animo sbagliato: noi non vogliamo distruggere i nostri avversari ma solo difenderci da essi e, per quanto possibile, aiutarli nel loro processo di conversione a Cristo.

Apertura a chi non si professa come noi

Nella logica di quanto esposto poche righe sopra, riteniamo che sia doveroso aprire la Rete di Comunità anche a coloro che non si professano cattolici.

Questa apertura non significa una deroga ai nostri principi, bensì deve essere considerata come una loro attuazione, riconoscendo che persone che non credono possono comunque essere uomini e donne di buona volontà e, quindi, collaborare alla realizzazione del progetto di Luces Veritatis.

Qualcuno potrebbe obiettare che, essendo riportare Cristo nella società l’obiettivo di tale progetto, ben difficilmente si può immaginare una persona non credente che vi collabori.

In realtà, per un non credente, l’obiettivo può benissimo essere condiviso nei termini dei suoi effetti: una società con una economia più giusta, una scuola che insegni realmente a pensare, una sanità che metta al centro le persone, tutto questo è certamente condivisibile.

Un non credente potrebbe benissimo concordare sui risultati a prescindere dall’essere d’accordo o meno sull’origine di tali risultati.

Inoltre, possiamo considerare che alcune fedi non sono poi troppo lontane dalla nostra e, quindi, immaginare che un cattolico ortodosso o un protestante possano facilmente condividere il Codice Etico pur non volendosi professare cattolici romani.

Questo non significa che superiamo di colpo mille anni di incomprensioni con gli ortodossi o cinquecento con i protestanti, né significa che entriamo in un sincretismo tanto sbagliato quanto deleterio o in un irenismo ingenuo e pericoloso. Significa che ci proponiamo di collaborare, su temi comuni, perché la situazione lo richiede.

Durante la persecuzione dei cristiani avvenuta sotto l’Unione Sovietica, un gruppo di studenti universitari cattolici, nella città di Bratislava, scriveva e stampava samizdat cristiane, cioè pubblicazioni clandestine, utilizzando un ciclostile fornito dai cristiani evangelici olandesi. Quando Simulcik, uno dei protagonisti, racconta di questa rischiosissima attività clandestina, lo fa ricordando che la macchina da stampa fu portata un pezzo alla volta proprio dagli Evangelici, che poi mandarono una squadra ad assemblarla. Sapevano benissimo che sarebbe stata usata da cattolici, ma non sembra fosse per loro un problema.

Ecco, da questi esempi, magari estremi, possiamo capire che la collaborazione, schietta e leale, con persone che non la pensano come noi sia una grande opportunità che Dio ci chiede, anche come testimonianza della nostra fede.

Se leggiamo negli Atti degli Apostoli il brano di Cornelio, scopriamo come per la Chiesa nascente fosse un vero e proprio problema questo dell’apertura verso i Pagani. Eppure, la Chiesa si aprì. Se non ci fosse stata l’apertura e il rispetto per il prossimo, il cardinale Van Thuan, all’epoca ancora vescovo, non avrebbe convertito un drappello di guardie comuniste vietnamite a settimana nel carcere in cui rimase rinchiuso per tredici anni.

Quindi, nel progetto di Luces Veritatis, dovremo essere pronti a collaborare, in chiarezza e rispetto, con persone che la pensano anche molto diversamente da noi, purché si sia d’accordo sul rispetto dei principi del Codice Etico. Questo vincolo è quello che ci permette di essere chiari sin dall’inizio e di fondare su basi solide la possibilità di una collaborazione.

La preghiera e la vita sacramentale

Il fondamento della nostra azione è sulla preghiera e sulla vita sacramentale. Ovviamente persone non credenti molto probabilmente non condivideranno questa posizione, e ce ne duole. Ma noi sappiamo benissimo che entrambi sono fondamentali.

Ovviamente, le Comunità che non si professano credenti saranno escluse da questo aspetto. Per quanto ci riguarda esso sarà approfondito in un altro post, quello sul passo 1 della roadmap.

La missionarietà

Un altro principio fondamentale del progetto di Luces Veritatis è la visione missionaria, nel senso dell’apertura a fondare altre comunità, a donare agli altri quello che abbiamo imparato, in modo da agevolare la loro crescita come Comunità.

Questo aspetto presuppone che non si sia gelosi delle proprie idee e delle soluzioni sviluppate ma che le si metta in comune con spirito fraterno e, soprattutto, sereno. Sereno perché sappiamo che i talenti che abbiamo in realtà ci sono stati donati da un Altro, che si aspetta che li mettiamo a disposizione del nostro prossimo.

L’integrazione nella Chiesa Locale e in quella Universale

Abbiamo già spiegato che combattiamo le divisioni in seno alla Comunità e, al tempo stesso, vogliamo ribadire che non è nostra intenzione creare sette o parrocchie parallele. Di conseguenza, il nostro operato dovrà integrarsi, ove ben accetti, con le parrocchie locali, senza creare parrocchie parallele o parrocchie nelle parrocchie. La nostra collaborazione con le realtà parrocchiali dovrà essere sempre improntata sul rispetto e sulla preghiera. Rispettare tutti i parrocchiani, a partire dal Parroco, significa amarli per come sono, in puro spirito di carità cristiana, senza voler imporre le proprie idee. Soprattutto, però, si cercherà di pregare il più possibile, insieme ad una assidua vita sacramentale, per ringraziare e chiedere per la Parrocchia e per le persone che la compongono.

Lo stesso andrà fatto nei confronti della Chiesa Universale.

Purtroppo, oggi assistiamo a frequenti attacchi alla Chiesa che arrivano dal suo interno e ad un continuo martellamento su cosa c’è di sbagliato in questo o in quello. E, sempre purtroppo, a volte queste affermazioni sono anche vere. Ma prima di lanciarci in queste critiche è necessario ricordare alcune condizioni per farle.

La prima condizione è che la critica sia basata su fatti verificati. Rilanciare, a volte senza averlo nemmeno letto per intero, un articolo critico su un tema religioso non è la via giusta e ci espone a diventare strumento dell’unico, vero nemico.

La seconda condizione, verificati i fatti, è che i destinatari a cui giriamo la critica siano, in effetti, quelli corretti. Troppo spesso si girano a tutti questioni tipo, per fare un esempio, la validità di una canonizzazione, quando tali questioni dovrebbero essere indirizzate a specifiche istituzioni ecclesiastiche. Inviare tali polemiche a persone che non possono fare nulla in merito, in genere serve solo ad alimentare confusione e divisione (strumenti prediletti di noi sappiamo chi).

La terza condizione è che la critica, fondata e indirizzata correttamente, abbia una seppur minima speranza di essere accolta, altrimenti è solo tempo sprecato. Ad esempio, scrivere al Papa che San XYZ non doveva essere fatto santo per tali motivi è praticamente tempo perso. Creare un gruppo di persone che documenti tali problemi e li segnali agli Organi deputati a tale revisione, in ottica di collaborazione per la Verità, è un modo evangelicamente corretto di affrontare la questione. L’inoltro Urbi et Orbi di critiche feroci è soltanto polemica divisoria e confusionaria. Comprendiamo benissimo che la creazione di un comitato di revisione possa essere un lavoro lungo e difficile, certamente più complesso di inoltrare un feroce post diffamatorio, ma dal punto di vista cristiano non c’è paragone: il primo è una virtù (anche se avesse torto), il secondo è un peccato.

La quarta e ultima condizione è il rispetto caritatevole. La critica dovrebbe essere mossa in un’ottica di caritatevole rispetto. Questo significa che deve trasparire un amore per la Verità e uno spirito di collaborazione con i destinatari.

Nella storia della Chiesa, molti santi hanno scritto anche cose molto pesanti, ma tutte rispettavano queste regole e, spesso, hanno sortito risultati concreti nella vita della Chiesa.

Quindi, per concludere questa sezione, collaborare in Parrocchia e nel cammino della Chiesa Universale, nell’ottica evangelica, senza creare sette, divisioni e senza calunniare o creare confusione inutile.

I principi laici etici

Penultimo aspetto (ultimo del Manifesto) è la conoscenza di principi laici etici.

Questo punto riguarda l’educazione civica (per conoscere le regole del nostro Stato), l’autosufficienza (per riscoprire l‘arte di vivere genuinamente e le tradizioni locali), la lotta non violenta/resistenza civile (per poter combattere, senza usare la violenza, in quei casi in cui sarà necessario).

Mentre i punti precedenti, secondo la massima di Don Bosco, puntano a renderci “buoni cristiani”, quest’ultima parte ci vuole far diventare “onesti cittadini”. Con tale espressione non intendiamo l’essere sudditi ma, al contrario, parte attiva per la crescita e il miglioramento della nostra Patria.

Non pensiamo quindi al cittadino di 1984 o di Hunger Games, bensì al cittadino quale elemento della società regolata da leggi e altre regole, che vuole vivere secondo di esse ma che, al contempo, si propone di garantire che esse siano giuste e che, quando ciò non accade, seguendo l’ispirazione di Thoreau, lottare perché vengano cambiate.

Li abbiamo chiamati principi laici perché essi toccano, come responsabilità di attuazione, principalmente alle persone che vivono nello stato laicale.

La Famiglia

Questo punto, non presente nel Manifesto, è però il focus principale della strategia di attuazione del progetto di Luces Veritatis.

La Famiglia è un’istituzione essenziale per la formazione di una società giusta e in grado di evolvere verso il Bene. Da decenni la Famiglia è sotto attacco e sta vivendo una delle crisi peggiori di tutti i tempi.

Le famiglie, oggi, sono spesso lasciate sole a fronteggiare gli innumerevoli problemi che la vita pone loro.

Nell’ottica di Luces Veritatis, la Famiglia è la prima istituzione da supportare e difendere in quanto essa è trasversale a tutte le azioni concrete che vogliamo realizzare.

Entrare in Luces Veritatis significa aderire a questa idea di centralità della Famiglia, intesa come costituita da un uomo e da una donna con l’eventuale prole, creando un supporto permanente al suo sviluppo e al suo sostentamento.

Del ruolo chiave della Famiglia parleremo in altri post.

Conclusioni sul passo zero

Lo stato di Pietra Focaia è il primo passo verso la creazione della Comunità Locale. È un tempo in cui ci si interroga, singolarmente o in gruppo, per capire se, veramente, si vuole iniziare questa impresa oppure no.

Il passo successivo, se si decide di proseguire, sarà quello di Favilla, ma ne parleremo in un altro post.

Credits: Foto di Alexander Dummer su Unsplash

Articoli simili