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DSC: i Valori Fondamentali della Vita Sociale

Con questo post proseguiamo nella serie di articoli che trattano dei principi di base della dottrina sociale della Chiesa (DSC). Con questi scritti non si intende fare un’analisi dettagliata delle varie encicliche sociali né si vuole spiegare l’intera dottrina. Lo scopo di questa serie di post è fornire i principi fondamentali per poter poi comprendere sia le ragioni del distributismo, sia le modalità seguite nei vari casi di studio, primo tra tutti quello della Mondragón Corporation, ma non solo.

I contenuti di questa serie di post, di cui questo è il settimo, sono tratti dal “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” nell’edizione 2005, seconda ristampa del 2016, della Libreria Editrice Vaticana. Il testo può essere acquistato in libreria o consultato liberamente sul Web al link del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

In particolare, seguiremo i contenuti del capitolo quarto, intitolato “I Principi della Dottrina Sociale della Chiesa”.

Per il primo post di questa serie si veda a questo link. Per il post precedente, vai a questo link.

In questo articolo parleremo dei valori fondamentali della vita sociale.

I numeri trattati in questo post vanno dal 197 al 203 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

I valori fondamentali della vita sociale sono quegli aspetti che la DSC intende massimizzare attraverso l’applicazione dei principi elencati nei post precedenti.

Tra valori e principi esiste un rapporto di reciprocità e tutti sono fondati sul concetto di dignità umana che, come abbiamo espresso nel primo post di questa serie, è l’elemento su cui si fondano tutti gli altri. Di tale principio parleremo in un altro post successivo a questo.

Al numero 197, la DSC dettaglia quanto appena detto: “La dottrina sociale della Chiesa, oltre ai principi che devono presiedere all’edificazione di una società degna dell’uomo, indica anche dei valori fondamentali. Il rapporto tra principi e valori è indubbiamente di reciprocità, in quanto i valori sociali esprimono l’apprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene morale che i principi intendono conseguire, offrendosi come punti di riferimento per l’opportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. I valori richiedono, pertanto, sia la pratica dei principi fondamentali della vita sociale, sia l’esercizio personale delle virtù, e quindi degli atteggiamenti morali corrispondenti ai valori stessi.

Tutti i valori sociali sono inerenti alla dignità della persona umana, della quale favoriscono l’autentico sviluppo, e sono, essenzialmente: la verità, la libertà, la giustizia, l’amore. La loro pratica è via sicura e necessaria per raggiungere il perfezionamento personale e una convivenza sociale più umana; essi costituiscono l’imprescindibile riferimento per i responsabili della cosa pubblica, chiamati ad attuare «le riforme sostanziali delle strutture economiche, politiche, culturali e tecnologiche e i necessari cambiamenti nelle istituzioni». Il rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene induce la Chiesa a non riservarsi competenze specifiche di ordine tecnico e temporale, ma non le impedisce di intervenire per mostrare come, nelle differenti scelte dell’uomo, tali valori siano affermati o, viceversa, negati.

Ma cominciamo con il primo valore: la verità.

La Verità

Tale valore è descritto al 198: “Gli uomini sono tenuti in modo particolare a tendere di continuo alla verità, a rispettarla e ad attestarla responsabilmente. Vivere nella verità ha un significato speciale nei rapporti sociali: la convivenza fra gli esseri umani all’interno di una comunità, infatti, è ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità. Quanto più le persone e i gruppi sociali si sforzano di risolvere i problemi sociali secondo verità, tanto più si allontanano dall’arbitrio e si conformano alle esigenze obiettive della moralità.”

Qui risuonano le parole “vivere senza menzogna” di Aleksandr Solženicyn (qui il testo completo del discorso, tenuto a Mosca il 12 febbraio 1974, giorno del suo arresto con conseguente espulsione dall’URSS), poi riprese anche da Václav Havel nel suo “Il potere dei senza potere” (qui un estratto con la famosa storia dell’ortolano).

Ma, alla base di tutto, si trova il Vangelo, con la figura più vera di tutte, Cristo, e il suo “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32, ediz. CEI 1974). Frase che, letta al completo, è “31 Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; 32 conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».” (Gv 8,31-32, CEI 1974).

Ma il Compendio prosegue, allo stesso numero, con una questione molto importante: “Il nostro tempo richiede un’intensa attività educativa e un corrispondente impegno da parte di tutti, affinché la ricerca della verità, non riconducibile all’insieme o a qualcuna delle diverse opinioni, sia promossa in ogni ambito, e prevalga su ogni tentativo di relativizzarne le esigenze o di recarle offesa. È una questione che investe in modo particolare il mondo della comunicazione pubblica e quello dell’economia. In essi, l’uso spregiudicato del denaro fa emergere degli interrogativi sempre più pressanti, che rimandano necessariamente a un bisogno di trasparenza e di onestà nell’agire, personale e sociale.

Quindi la ricerca della verità, dell’unica verità, richiede un’azione esplicita da parte di tutti, che si sviluppa su due binari: educazione e impegno personale. Molto importanti due frasi, che vogliamo sottolineare:

  • la ricerca della verità, non riconducibile all’insieme o a qualcuna delle diverse opinioni
  • questione che investe in modo particolare il mondo della comunicazione pubblica e quello dell’economia

La prima frase mette una pietra tombale definitiva sulla questione del relativismo e di tutte le dottrine ad esso simili. La verità è una, è oggettiva e non è un’opinione. Ma richiede una ricerca, così come l’oro richiede di scavare e setacciare per essere trovato.

La seconda frase evidenzia due ambiti in cui, oggi, abbiamo un grave deficit di verità, che deve al più presto essere risolto.

La Libertà

Il secondo valore presentato dal Compendio è proprio la libertà.

Al numero 199 ne viene data una definizione e ne vengono definiti gli ambiti.

Al numero 200 ne vengono esplicitate le modalità operative per metterla in pratica e realizzarla.

Partiamo con il 199: “La libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina e, di conseguenza, segno della sublime dignità di ogni persona umana: «La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all’esercizio della libertà è un’esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana». Non si deve restringere il significato della libertà, considerandola in una prospettiva puramente individualistica e riducendola a esercizio arbitrario e incontrollato della propria personale autonomia: «Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell’io e nell’assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone». La comprensione della libertà diventa profonda e ampia quando essa viene tutelata, anche a livello sociale, nella totalità delle sue dimensioni.”.

Vediamo ora come realizzare, nella pratica, tale libertà (numero 200): “Il valore della libertà, in quanto espressione della singolarità di ogni persona umana, viene rispettato quando a ciascun membro della società è consentito di realizzare la propria personale vocazione; cercare la verità e professare le proprie idee religiose, culturali e politiche; esprimere le proprie opinioni; decidere il proprio stato di vita e, per quanto possibile, il proprio lavoro; assumere iniziative di carattere economico, sociale e politico. Ciò deve avvenire entro un «solido contesto giuridico», nei limiti del bene comune e dell’ordine pubblico e, in ogni caso, all’insegna della responsabilità.

La libertà deve esplicarsi, d’altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti, come capacità di effettivo distacco da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale. La pienezza della libertà consiste nella capacità di disporre di sé in vista dell’autentico bene, entro l’orizzonte del bene comune universale.

Un punto che ci preme di sottolineare sul 200 è il penultimo paragrafo. In tale frase è indicato che la libertà è anche nel diritto di rifiutare ciò che è dannoso secondo i principi e i valori della DSC: “La libertà deve esplicarsi, d’altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti, come capacità di effettivo distacco da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale”. Ma, leggiamo bene: non solo diritto ma, soprattutto, “capacità”, ossia devo essere messo in condizione sia di riconoscere cosa è dannoso sia di poterlo rifiutare. Già su questa frase potremmo scrivere fiumi d’inchiostro!

La Giustizia

Al numero 201 il Compendio recita “La giustizia è un valore, che si accompagna all’esercizio della corrispondente virtù morale cardinale. Secondo la sua più classica formulazione, «essa consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto». Dal punto di vista soggettivo la giustizia si traduce nell’atteggiamento determinato dalla volontà di riconoscere l’altro come persona, mentre, dal punto di vista oggettivo, essa costituisce il criterio determinante della moralità nell’ambito inter-soggettivo e sociale.

Il Magistero sociale richiama al rispetto delle forme classiche della giustizia: quella commutativa, quella distributiva, quella legale. Un rilievo sempre maggiore ha in esso acquisito la giustizia sociale, che rappresenta un vero e proprio sviluppo della giustizia generale, regolatrice dei rapporti sociali in base al criterio dell’osservanza della legge. La giustizia sociale, esigenza connessa alla questione sociale, che oggi si manifesta in una dimensione mondiale, concerne gli aspetti sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle correlative soluzioni.”.

dare a … ciò che è … dovuto”. Questa è la sintesi della Giustizia. È cosa è dovuto? Per quanto riguarda Dio la questione è chiara. Per quanto riguarda l’essere umano, la risposta è “tutto quello che la sua dignità richiede”. Anche qui si potrebbero versare fiumi d’inchiostro ma in questi post stiamo solo fissando i principi.

Chiarito questo aspetto, ci risulterà chiaro il 202: “La giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d’intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità e dell’avere. Anche la giustizia, sulla base di tali criteri, viene considerata in modo riduttivo, mentre acquista un più pieno e autentico significato nell’antropologia cristiana. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, perché quello che è «giusto» non è originariamente determinato dalla legge, ma dall’identità profonda dell’essere umano.”.

Al 202 viene lanciato un allarme e vengono definiti gli obiettivi da colpire per riportare la Giustizia:

  • in primo luogo, l’ipocrisia, della dichiarazione d’intenti (sempre disattesa) o del cordoglio (spesso da parte dei mandanti)
  • in secondo luogo, i criteri etici dell’utilità e dell’avere, che rendono oggetto usa-e-getta ciò che sarebbe soggetto con dignità propria e inalienabile
  • infine, la convinzione che la Giustizia discenda dalle leggi dell’uomo e non dalla dignità della persona

Ma la giustizia può essere un boomerang se considerata da sola. Per modularne gli effetti negativi e i rischi è necessario considerarla assieme all’Amore. Il 203 spiega proprio questo concetto: “La piena verità sull’uomo permette di superare la visione contrattualistica della giustizia, che è visione limitata, e di aprire anche per la giustizia l’orizzonte della solidarietà e dell’amore: «Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l’amore». Al valore della giustizia, infatti, la dottrina sociale accosta quello della solidarietà, in quanto via privilegiata della pace. Se la pace è frutto della giustizia, «oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cf. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà». Il traguardo della pace, infatti, «sarà certamente raggiunto con l’attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruire uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore».

Ma quest’ultimo punto merita un notevole approfondimento che viene dato, nel Compendio, nella sezione VIII del capitolo IV. In questa serie di post lo tratteremo nel prossimo post.

Un sito di riferimento per questi temi è certamente l’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan che vi invitiamo a visitare, essendo ricchissimo di spunti e altamente qualificato.

Credits: Photo by Jon Tyson on Unsplash

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