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Katedralja e Shën Palit

È una chiesa che non ha molta storia, essendo stata consacrata circa vent’anni fa. Non ha un’architettura particolarmente significativa e non possiede opere d’arte di rilievo. Certo, è una cattedrale, ed è anche in una nazione dove non è facile trovare una chiesa cattolica.

Eppure, ci capito spesso, anche se è a 45 minuti di viaggio da dove abito.

Non ci vado per ragioni artistiche o estetiche ma per la S. Messa domenicale. È la cattedrale di Tirana, in Albania, in via Giovanna d’Arco, sul lungofiume, ed è dedicata a San Paolo Apostolo.

In genere partecipo alla celebrazione delle 9, quella per gli stranieri, che è in inglese. Qualche volta, complice la sveglia, vado più tardi e celebro in lingua albanese, che capisco pochissimo.

Perché ho voluto raccontare di questa chiesa? Per le persone che la vivono, ogni domenica e, probabilmente, anche il resto della settimana.

Iniziamo dal celebrante, chiaramente non Albanese dal colore della pelle. Anche se siamo stranieri, da tutte le parti del mondo, e in continuo cambiamento, anche se non è la sua parrocchia, ci parla come se ci conoscesse bene. Si informa sempre su chi è la prima volta che partecipa a quella celebrazione, chiedendo da dove provenga e come mai si trovi a Tirana.

E così scopro di tanti turisti e tanti lavoratori occasionali che, nonostante siano a Tirana poche ore, trovano, come è giusto che sia, il tempo per andare a messa.

All’inizio di ogni omelia, il celebrante ci invita a rispondere al dialogo “Dio è grande, in ogni momento, e in ogni momento Dio è grande”, solo che l’ultimo “è grande” lo trasforma in “the best”, il migliore. E questo scambio avviene sempre con il sorriso sulle labbra, con un volto raggiante per quello che sta dicendo.

Ma anche i fedeli che partecipano sono molto interessanti. Per esempio, ogni messa è cantata ed abbiamo un libro dei canti (il “green book”) che contiene note e testo di un migliaio di canti religiosi in inglese (quasi tutti) o latino. E la cosa particolare è che i fedeli, quando cantano un canto, lo fanno fino alla fine, non come capita spesso da noi che si cantano le prime strofe e poi si taglia corto. Non hanno fretta, cantano tutte e cinque le strofe con altrettanti ritornelli, e lo fanno bene, scrivendo prima su una lavagnetta il numero del canto. E cantano a lungo. Perché il canto è preghiera. E la preghiera è un modo di vivere il nostro rapporto con Dio. Ed è quindi bello conversare con Dio tramite il canto che si fa preghiera. Io non so se sia vero che chi canta bene prega due volte, ma so che quelli che cantano con me a Tirana di sicuro stanno pregando doppio.

Ogni tanto fanno delle raccolte di fondi aggiuntive a fine messa, raccolte finalizzate a specifiche attività caritatevoli.

Celebriamo in una cappellina microscopica dietro l’altare principale, dedicata a S. Lucia, dove entriamo a malapena (tranne questo periodo febbraio-marzo dove l’influenza decima i partecipanti).

Sebbene la messa sia in lingua inglese, che capisco tranquillamente, rimpiango tantissimo che non sia in latino, perché l’avrei seguita e vissuta meglio.

Perché, quindi, ho scritto di queste persone? Perché in un paese come l’Albania, dove noi cattolici siamo qualche punto percentuale, non è semplice trovare una chiesa dove celebrare la S. Messa. Spesso mi sono trovato a dover fare decine di km per andare a messa la domenica, in chiese difficili da trovare o raggiungibili solo con l’automobile.

Eppure, in tutte queste chiesette, ho visto tanta gente, spesso anche abbastanza povera, che si vestiva al meglio e partecipava alla celebrazione eucaristica domenicale con attenzione e partecipazione. Ho pregato con un’Ave Maria con un terzo delle parole per me impronunciabili ma fluidissime per tutti gli altri. Ho anche partecipato ad un S. Rosario in una chiesa freddissima ma con la gente attenta e impegnata.

Cosa voglio dire, che qui in Albania sono tutti santi? No, voglio dire che forse noi ci siamo allontanati un po’ dalla santità perché la chiesa ce l’abbiamo comodamente sotto casa. Voglio dire che, forse, quando guardiamo con impazienza l’orologio a messa, forse, ripeto, qualche domandina ce la dovremmo fare …

Luca Lezzerini

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