Roadmap passo 1: Faville

Proseguiamo con la serie dei post sulla roadmap.

Dopo il passo zero, Pietra Focaia, presentiamo il passo uno, quello che abbiamo denominato “Favilla”.

Lo stato di Favilla è una condizione fondamentale per le comunità nascenti e, sebbene, secondo l’accezione della nostra lingua, la favilla abbia vita breve, dovrebbe essere un periodo sufficientemente lungo da raggiungere uno specifico risultato.

La favilla è l’elemento di innesco che si sviluppa dall’urto di una pietra focaia e che attiva l’esca che, come già spiegato, accende il fuoco vero e proprio.

Nel nostro progetto, lo scopo di una Comunità nello stato di favilla è semplice: pregare.

Certo, una Favilla ha anche altre cose da fare: darsi un nome, scegliere una chiesa, aprire un blog o un canale social per comunicare, studiare il sussidio sulla preghiera. Ma la cosa più importante è pregare, da soli e insieme.

Come ben sappiamo, il nostro progetto non è nostro ma è di un Altro. E una comunità, nelle fasi iniziali in particolare, è composta da individui che possono sperimentare attriti, dissidi e discussioni.

Nella fase di partenza abbiamo posto quindi due stati, quello di Favilla e quello di Scintilla (non a caso sono stati scelti dei sinonimi) ma quello fondamentale è il primo dei due.

Per spiegare il concetto partiamo da una frase molto famosa: “non prevalebunt”, che è la contrazione di un brano più lungo del Vangelo di Matteo “tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam”. (Mt 16,18)

Il testo è molto chiaro: “tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa” (ibidem, versione Treccani).

Questa frase ci rincuora e, a volte, ci fa anche rilassare, quasi a dire che non è compito nostro difendere la Chiesa, ci pensa già Dio.

Ma questa frase è incalzata da un’altra: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (CEI74 e CEI2008, Lc 18,8)

La frase di Gesù è inquietante. Cosa vuole insinuare? Che ci dimenticheremo di Lui? La frase ci smuove dentro e ci chiama in causa. Ci crea una sorta di angoscia, di timore. Sembra collidere con quella di prima: ma come, prima dici che non saremo sconfitti e poi che la fede sparirà?!

Per capire bene questa frase bisogna leggere i versetti precedenti e inquadrarla nel discorso generale che Gesù sta facendo.

Il brano da considerare è Lc 18,1-8 e lo riportiamo di seguito nel testo CEI2008:

“1Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: «Fammi giustizia contro il mio avversario». 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».”

Cerchiamo di analizzare il brano.

In Lc 17 Gesù parla dell’avvento del Regno di Dio (“è in mezzo a voi!”) e del giorno in cui si Egli si manifesterà.

Inizia poi Lc 18 con l’invito a pregare senza stancarsi mai (“incessantemente” direbbe il nostro amato Pellegrino Russo). Poi prosegue con la parabola della vedova e del giudice disonesto. Ai versetti 7 e 8 Gesù promette la giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui e poi, repentinamente, pronuncia la frase che ci sconvolge: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Poi prosegue con la parabola del fariseo e del pubblicano (sempre sulla preghiera).

In pratica, la nostra frase è incastonata in un bellissimo discorso sulla preghiera e, in particolare, giunge alla fine di un discorso sulla preghiera “senza stancarsi”.

Quindi, cosa sta dicendo Gesù? Sta insistendo sul fatto che dobbiamo pregare incessantemente (“giorno e notte”), “senza stancarci”, e che in tale preghiera si manifesta la nostra fede.

Una cosa molto interessante è che negli Esercizi della Fraternità 2023 di Comunione e Liberazione, è stato toccato anche questo tema, ossia del fatto che la nostra fede è fondata sulla preghiera.

In effetti questo concetto esiste da sempre nel mondo di CL, e veniva esplicitato da don Giussani con la figura del “mendicante”. Riprendendo le sue parole, a conclusione del suo intervento in piazza San Pietro a fine anni ’90, don Giussani disse “Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”.

Perché il mendicante? Lungi da noi il voler approfondire un tema tanto profondo quanto caro agli amici ciellini, ne vogliamo però prendere spunto per spiegare il ruolo fondamentale della preghiera nel nostro progetto.

Con la preghiera (poi vedremo il senso di “incessante”), l’uomo esegue quattro azioni: ringraziamento, lode, riconciliazione e richiesta.

Pregando per ringraziare, l’uomo rimette le cose nella giusta prospettiva, quella della parabola dei talenti, per cui tutto ci viene da Dio e nulla è merito nostro. Siamo servi inutili. Certo, inutili, ma amati di un amore immenso da questo Cristo che viene a “mendicare” il nostro cuore. E quindi questa nostra inutilità diventa la centralità del focus dell’amore divino. Questo stato dell’animo ci protegge dalla superbia, dall’orgoglio e ci guida sul nostro cammino di santità “con ciò che c’è”.

Pregando per lodare, l’uomo ricambia l’amore di Dio e ne diviene più consapevole. È sempre un servo inutile (ma amato), però comprende che questa sua inutilità non deriva da una sua colpa ma dall’immensità dell’Altro e, quindi, si libera da quella che potremmo chiamare “ansia da prestazione”. Essere servi inutili ci permette di accogliere Dio nella sua immensità e di amarlo anche se siamo infinitamente più piccoli e miserevoli.

Pregando per riconciliarsi con Dio, l’uomo riconosce i propri errori e li carica su Cristo, essendo egli, in quanto peccatore, “realmente causa e strumento delle […] sofferenze» del divino Redentore” (Catechismo della Chiesa Cattolica 598).

Agnus dei qui tollis peccata mundi …”, nella sua traduzione in italiano, perde una parte della sua drammaticità: tollis viene tradotto come “togliere”, come si leva un cerotto da una ferita o un coperchio da una pentola, ma nell’accezione latina figurata originale, significa “addossarsi, prendere su di sé”.

Pregando per riconciliarci con Dio, riconosciamo il nostro errore, ce ne liberiamo e partiamo rinnovati verso di Lui. (ovviamente, vi è anche la pratica del sacramento della riconciliazione che in questo post saltiamo ma che è necessaria …).

Infine, pregando per chiedere, di nuovo riconosciamo che tutto è dovuto a Lui, e ci rimettiamo nell’ottica del “mendicante”, di colui che chiede a qualcuno verso cui non avrebbe alcun diritto di pretendere qualcosa. E lo fa certo di ottenerla.

Senza voler rendere questo post troppo difficile, troppo pesante e, soprattutto, troppo erudito, riassumiamo che con la preghiera l’uomo si pone nella giusta prospettiva, cambia la propria vita e supera tutti gli ostacoli e le tentazioni.

Ma torniamo a quel pregare “senza stancarsi” di Luca 18. E al pregare “incessantemente” del Pellegrino Russo (1Ts 5,17), nostra sintesi di “giorno e notte” di Lc 18,7.

Il “senza stancarsi” significa senza temere che Dio non risponderà alle nostre richieste. Cristo ci chiede di avere fiducia in Lui e nel Padre, anche se gli effetti tardano a manifestarsi. Ci chiede di perseverare nella preghiera avendo fiducia, avendo fede in lui. Quindi di continuare a chiedere il suo aiuto (facendo, ovviamente, anche noi la nostra parte).

Questa è la fede che il Figlio dell’Uomo teme di non trovare al suo ritorno.

Ma cosa significa il venir meno di questa fede? Significa che l’uomo pensa di poter fare da solo, di essere l’artefice dei risultati che si hanno. Significa che si pone al posto di Dio.

E questo è sbagliato e pericoloso. È una tentazione fortissima che ci troviamo a vivere quando collaboriamo alla realizzazione del progetto di Dio. È la tentazione di pensare che noi aiutiamo, noi convertiamo, noi facciamo, noi salviamo. Noi, noi, noi.

La preghiera, se fatta bene, spazza via questa posizione di superbia dell’uomo e lo riporta nella giusta predisposizione d’animo. Ritorniamo operai della vigna e non fantastichiamo sull’essere noi i padroni della vigna.

Ci rimettiamo nello spirito di umiltà e di servizio, di carità fraterna e di amore verso Dio e verso il prossimo.

Ma la preghiera deve essere “incessante”. Senza voler necessariamente riprendere l’esicasmo del Pellegrino Russo (che rimane un meraviglioso esempio), vogliamo spiegare il brano della prima lettera ai Tessalonicesi con un estratto di uno scritto di un altro gigante contemporaneo della fede, Chiara Lubich del Movimento dei Focolari:

Come fare a “pregare continuamente”, specialmente quando ci troviamo nel vortice del vivere quotidiano?

“Pregare sempre” non significa moltiplicare gli atti di preghiera, ma orientare l’anima e la vita verso Dio, vivere compiendo la sua volontà: studiare, lavorare, soffrire, riposare e, anche, morire per Lui. Al punto da non riuscire più a vivere nel quotidiano senza essersi accordati con Lui.

Il nostro agire si trasforma così in un’azione sacra e l’intera giornata diventa una preghiera.

Ci può aiutare l’offrire a Dio ogni azione, accompagnandola con un: “Per te, Gesù”; o, nelle difficoltà, “Che importa? Amarti importa”. Così tutto trasformeremo in un atto d’amore. E la preghiera sarà continua, perché continuo sarà l’amore.

(Chiara Lubich, gennaio 2008, testo per la settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani)

Quindi la preghiera, che è il cuore della Favilla, dovrà continuare, incessantemente, ed entrare sempre più nella nostra vita. Per tutti i motivi accennati sopra e per tanti altri che tralasciamo per ora.

In conclusione, come diceva il nonno del Pellegrino Russo “Ringraziamo Dio e preghiamolo più spesso” e, soprattutto, non dimentichiamo il significato della domanda che Cristo ci ha fatto “hai veramente fiducia in me tanto da essere capace di continuare a credere in me anche quando sembra che le tue preghiere non ricevano risposta?”.

Se venisse oggi, il Figlio dell’Uomo troverebbe la nostra fede?

Credits: Foto di David Brooke Martin su Unsplash

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